20^ canto dell’Inferno.
Tiresia.
Nell’ottavo cerchio dell’Inferno, Malebolge. Virgilio dice a Dante: «Vedi Tiresia, che cambiò aspetto quando da maschio diventò femmina, mutandosi tutte quante le membra; e prima che avesse di nuovo la barba virile, poi, gli fu necessario percuotere di nuovo i due serpenti attorcigliati, con il bastone».
Figura sia della letteratura greca sia latina, Tiresia, posto dal poeta nella quarta bolgia di questo cerchio tra gli indovini, è prima un personaggio dell’Odissea, definito da Omero profeta glorioso, cieco e sapiente, nonché interprete delle vicende scabrose che interessarono la famiglia di Edipo, poi della Tebaide di Stazio, essendo il poeta latino a farlo assurgere a un ruolo ben più significativo. Nella sua opera, infatti, egli lo ritrasse con la fisionomia di aruspice in un episodio di evocazione infernale, puro horror, in tutti i sensi.
Tornando al ritratto che ne fece Omero, la cecità e la facoltà divinatoria di Tiresia, secondo Ovidio nelle Metamorfosi, ebbero origine dal giudizio che egli diede in una diatriba fra Giove e Giunone su quale sesso provasse maggior piacere nell’atto d’amore.
Egli, infatti, fu chiamato a deliberare come arbitro, in qualità di esperto, perché mutato in femmina per aver percosso con un bastone i due serpenti sopra citati, recuperando la natura originaria soltanto dopo sette anni, ripetendo lo stesso gesto. Tiresia diede ragione al re degli dèi, il quale lo ricompensò conferendogli il dono della profezia, mentre la dea, vendicandosi del verdetto a lei sfavorevole, lo rese cieco.
@ VEDI TIRESIA, CHE MUTÒ SEMBIANTE
Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970