Poscia ch’io ebbi rotta la persona

3^ canto del Purgatorio.

La conversione di Manfredi.

Nell’Antipurgatorio. Dalla spiaggia verso le pendici del Purgatorio. Il poeta sente dire da Manfredi: «Dopo che il corpo fu aperto con due ferite letali, io mi raccomandai con fiducioso abbandono, piangendo, a Colui che volentieri rimette i peccati. I miei peccati furono spaventosi; ma la Bontà incommensurabile è così generosa, che accoglie ciò che si volge a essa».

A proposito della conversione di Manfredi effettuata poco prima della morte, della stessa esisteva una tradizione orale, della quale alcune tracce furono trovate nella cronaca di fra Iacopo d’Acqui, l’Imago Mundi, datata 1330-1340. Secondo tale narrazione, un certo conte Enrico, della famiglia di Manfredi, sarebbe stato testimone delle sue ultime parole: “Deus propitius esto mihi peccatori”, a causa delle quali poi il re si sarebbe salvato.

Parole, tra l’altro, riecheggianti quelle del pubblicano nella parabola evangelica di Luca (Vangelo 18,13), ed entrate successivamente a far parte della liturgia cristiana della penitenza. Tornando al racconto del frate, è certo che lo stesso ha lasciato aperta la congettura che le voci di cui alla tradizione orale di riferimento, fossero vere o meno, riguardassero la salvezza finale di Manfredi e che Dante si sia limitato a farle proprie, riportandole poeticamente nel 3^ canto del Purgatorio.

Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra la suddetta conversione, la bontà di Dio e il tema della salvezza dell’anima di Manfredi, citiamo questo passo della Chiavacci Leonardi: “Il re scomunicato e peccatore (Orribil furon li peccati miei) che, già ferito a morte in battaglia, si rivolge a Dio con lacrime (io mi rendei, piangendo) e ne riceve l’abbraccio e il perdono, ci dice l’infinita ampiezza della misericordia divina, la gratuità della salvezza (data a chi ha peccato fino all’ultima ora), e l’unica cosa che è richiesta all’uomo per ottenerla: la conversione del cuore, anche all’ultimo breve momento, anche con una sola lacrima (come dirà poi Bonconte), con una sola parola. È questo il senso profondo del Purgatorio dantesco, che via via apparirà, in forme diverse, nelle diverse storie che verranno narrate”.

@ POSCIA CH’IO EBBI ROTTA LA PERSONA

Fonti: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

Purgatorio, Anna Maria Chiavacci Leonardi, Mondadori e successive ristampe

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Pon mente se di là mi vedesti unque

3^ canto del Purgatorio.

Manfredi.

Nell’Antipurgatorio. Dalla spiaggia verso le pendici del Purgatorio. Manfredi dice a Dante: «Chiunque tu sia, continuando ad andare, volgi lo sguardo: considera attentamente se in Terra mi hai visto qualche volta».

Manfredi, della casa di Svevia, collocato dal poeta nell’Antipurgatorio tra le anime degli scomunicati, nacque nel 1232 dall’imperatore Federico II e Bianca Lancia di Monferrato. Personaggio di grande personalità e fascino, a diciotto anni, alla morte del padre, divenne reggente del regno di Sicilia per il fratello Corrado IV. Alla morte di costui, fu incoronato re a Palermo, ed esercitò il potere da vero e proprio avversario della Chiesa, la quale, non ritenendolo altro che un usurpatore, lo scomunicò diverse volte.

Manfredi cercò di riunire attorno a sé i Ghibellini italiani, con lo scopo manifesto di diventare il padrone incontrastato di tutta la penisola, un sogno che era stato già del padre. Così, sconfitti i Guelfi a Montaperti nel 1260, questo sogno sembrò tramutarsi in realtà. Ma Urbano IV chiamò in Italia Carlo I d’Angiò al fine di scongiurare tale pericolo; questi affrontò Manfredi a Benevento, nel 1266, dove lo svevo fu sconfitto e trovò la morte. I Ghibellini italiani ne fecero ben presto un’icona, esaltandone la bellezza, la cortesia e la generosità.

Dante lo ricordò nel De Vulgari eloquentia (I, XII,4) insieme al padre, come centro della corte letteraria del regno di Sicilia, dove nacque quanto di meglio si produceva allora nel Bel Paese; e lo lodò per la sua nobiltà d’animo e per la sua cura conferita alle facoltà più alte degli uomini.

“A questa ammirazione per l’aspetto letterario, o meglio culturale, della figura di Manfredi, doveva unirsi in Dante la simpatia per il progetto politico che egli aveva impersonato, di un potere laico italiano che contrastasse l’usurpazione temporale dei papi… Ma questi due elementi, che concorrono a determinare la temperie di prevalente simpatia che circonda qui la persona del principe svevo, non offuscavano il giudizio morale sulla sua vita, giudizio che in Dante non è mai alterato da personali inclinazioni o affetti” (Chiavacci Leonardi).

@ PON MENTE SE DI LÀ MI VEDESTI UNQUE

Fonti: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

Purgatorio, Anna Maria Chiavacci Leonardi, Mondadori e successive ristampe