Poi appresso convien che questa caggia

6^ canto dell’Inferno.

Le profezie nella Commedia.

Nel terzo cerchio dell’Inferno. Il poeta sente dire da Ciacco: «Dopo un lungo contrasto si abbandoneranno a sanguinose lotte civili, e la fazione venuta dal contado scaccerà la seconda con molti danni. Poi dopo dovrà accadere che la prima decada dalla sua egemonia entro il tempo di tre anni, e che la seconda prevalga con il potere prevaricatore di un tale che ora si destreggia».

Le profezie, in senso lato, vengono rese possibili da una legge dell’Inferno, per la quale i dannati possono leggere il futuro, ma non gli risulta nulla di quanto accade nel presente. Ovviamente, in quelle come questa di Ciacco, ci troviamo di fronte a una mera finzione letteraria, nel senso che i fatti storici preannunziati a Dante, a partire da Ciacco per finire all’avo Cacciaguida in Paradiso, passando per Farinata degli Uberti, Brunetto Latini e Vanni Fucci nell’Inferno, e per Corrado Malaspina, Oderisi da Gubbio e Ugo Capeto in Purgatorio, durante l’intero viaggio nei tre regni ultraterreni, sono già avvenuti. E quindi questi personaggi dicono al poeta ciò che egli già sa.

Altra cosa sono, invece, le profezie tout court, dove si preconizza ciò che potrà accadere. Una di queste, molto famosa, è quella della venuta di un Veltro, per bocca di Virgilio; un’altra, meno nota, è quella dell’avvento di un Dux inviato da Dio, per bocca di Beatrice, in Purgatorio. In entrambe, sia nella figura del primo, sia in quella del secondo, le opinioni al riguardo sembrano convergere ormai, dopo secoli di divergenze, verso un generico riformatore, forse un imperatore. In questi due casi, Dante, per il tramite di Virgilio e Beatrice, si veste da profeta vero e proprio, animato chiaramente più da un proprio convincimento, che dalla certezza che quanto sperato e immaginato avvenga realmente.

E questa tensione profetica, che aveva caratterizzato nell’Alto Medio Evo l’operato di papa Gregorio Magno, il quale aveva speso tutte le sue energie in una predicazione diretta a convincere il suo gregge su un imminente ritorno di Cristo, si riverbera per tutta la Commedia, mirabile visione in cui ognuno può rivivere la propria esperienza.

@ POI APPRESSO CONVIEN CHE QUESTA CAGGIA

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Voi cittadini mi chiamaste Ciacco

6^ canto dell’Inferno.

Ciacco.

Nel terzo cerchio dell’Inferno. Ciacco dice a Dante: «La tua città, che è così colma di invidia che ha già superato il limite, mi accolse in sé nell’esistenza terrena. Voi concittadini mi chiamaste Ciacco: a causa della nociva colpa della gola, come tu vedi, mi consumo sotto la pioggia. E io anima dolente non sono sola, perché tutte queste stanno a un tormento uguale per un peccato uguale».

Ciacco, collocato dal poeta in questo cerchio tra i golosi, già dai primi commentatori della Commedia fu ritenuto un mistero. Infatti, numerosi furono i loro sforzi per dargli un’identità sicura. Così, da un Ciacco di Buoninsegna, rinvenuto in un documento del 1264, passando per Tuccio del Ciacco, del popolo di San Pier Maggiore, “sindaco per la locazione del carcere dei Magnati” nel 1293, si è giunti a tale Ciacco di Pietro. E qualcuno addirittura pensò di identificarlo col rimatore Ciacco dell’Anguillara. Ma tutto ciò, nel corso del tempo, si è rivelato velleitario, tanto che ancora oggi non si conosce la vera identità del Ciacco dantesco.

Scavando nel personaggio, il modo stesso in cui Dante lo presenta a chi legge, dà ad intendere che tale nomignolo gli sia venuto dopo la nascita, forse, ad opera dei compagni. E se il soprannome in qualche maniera sconcerta, ancor di più lo fa la scenografia in cui è inserito il personaggio Ciacco. E il fatto che in vita sia stato noto a Firenze per la sua golosità, lo possiamo reputare vero in virtù della citazione dantesca: se il poeta lo ha scelto quale simbolo di questo peccato, ciò significa che egli merita sì il suo posto tra i golosi, ma vuol dire anche che egli è ritenuto il solo capace di riferire certe cose che qualcun altro non saprebbe o potrebbe dire.

Al punto che Dante gli farà pronunciare la prima profezia sulle vicende politiche della città, previa idonea domanda. La risposta? A Calendimaggio del 1300, la parte dei Guelfi Bianchi (la famiglia dei Cerchi) e quella dei Neri (i Donati), si azzufferanno a Piazza Santa Trinita per ingraziarsi, pare, alcune floride e danzanti fanciulle. Da questo fatto in apparenza banale, si scatenerà la classica reazione a catena, fino al più nefasto degli eventi per il poeta: il bando perenne dalla sua patria.

@ VOI CITTADINI MI CHIAMASTE CIACCO

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970