Ecco di qua chi ne darà consiglio

3^ canto del Purgatorio.

I negligenti morti scomunicati.

Nell’Antipurgatorio. Dalla spiaggia verso le pendici del Purgatorio. Il poeta dice a Virgilio: «Maestro, alza il tuo guardo: ecco da questa parte chi ci darà un suggerimento, se tu non sei capace di averlo da solo».

Gli scomunicati, posti da Dante nell’Antipurgatorio, rappresentano la prima schiera dei negligenti (così chiamati perché tardarono a pentirsi fino all’estremo della loro vita) che egli incontra con Virgilio. I due poeti, infatti, subito dopo che si sono allontanati dalla spiaggia dove approdano i penitenti, raggiungono le pendici del Purgatorio, dove si fermano davanti a “una parete rocciosa così scoscesa, che le gambe vi sarebbero state inutilmente agili e volenterose”.

Le anime di coloro che muoiono in disubbidienza della Santa Chiesa, sebbene si siano pentiti nell’ultima parte della loro vita, camminano molto lentamente; esse devono aspettare fuori del Purgatorio vero e proprio per un tempo trenta volte maggiore di quello che hanno vissuto sulla Terra, appunto, in condizione di condanna da parte della Chiesa, a meno che la misura della sosta stabilita da apposito decreto ecclesiastico non sia abbreviato con valide preghiere.

Ai tempi di Dante, il concetto della scomunica era stato definito sullo sviluppo dell’anatema con cui erano colpiti, ai primordi del cristianesimo, gli eretici, sia singoli sia raggruppati nelle prime comunità. Nei secoli a venire, in specie nel XII^ e nel XIII^, la scomunica si venne articolando in due tipologie: l’ “excommunicatio minor”, pena che prima sospendeva e poi allontanava colui che ne veniva colpito per diverse ragioni e modi dalla comunità ecclesiastica e l’ “excommunicatio maior”, solenne e dichiarata eliminazione del singolo o del gruppo dalla stessa comunità. Esigeva, pertanto, una puntuale serie di cerimonie che sottolineavano la gravità della decisione emanata.

Per quanto riguarda la posizione dantesca verso gli scomunicati, essa trovò la sua precisa collocazione in ciò che per il poeta rappresentava la propria idea di cristianesimo, quindi non teologia o complesso di norme giuridiche, ma interiorità ispirata dal Vangelo e vissuta in adesione alla tradizione più intima della spiritualità di ognuno.

@ ECCO DI QUA CHI NE DARÀ CONSIGLIO

Fontie: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

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Già era ‘l sole a l’orizzonte giunto

2^ canto del Purgatorio.

(Canto secondo, nel quale tratta de la prima equalitade cioè dilettazione di vanitade, nel quale peccato inviluppati sono puniti proprio fuori del purgatorio in uno piano, e in persona di costoro nomina il Casella, uomo di corte.)

Già era ‘l sole a l’orizzonte giunto lo cui meridian cerchio coverchia Ierusalèm col suo più alto punto; e la notte, che opposita a lui cerchia, uscia di Gange fuor con le Bilance, che le caggion di man quando soverchia; sì che le bianche e le vermiglie guance, là dov’i’ era, de la bella Aurora per troppa etate divenivan rance.

Noi eravam lunghesso mare ancora, come gente che pensa a suo cammino, che va col cuore e col corpo dimora. Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino, per li grossi vapor Marte rosseggia giù nel ponente sovra ‘l suol marino, cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia, un lume per lo mar venir sì ratto, che ‘l muover suo nessun volar pareggia.

Dal qual com’io un poco ebbi ritratto l’occhio per domandar lo duca mio, rividil più lucente e maggior fatto. Poi d’ogne lato ad esso m’appario un non sapeva che bianco, e di sotto a poco a poco un altro a lui uscio. Lo mio maestro ancor non facea motto, mentre che i primi bianchi apparver ali; allor che ben conobbe il galeotto, gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali. Ecco l’angel di Dio: piega le mani; omai vedrai di sì fatti officiali. Vedi che sdegna li argomenti umani, sì che remo non vuol, né altro velo che le ali sue, tra liti sì lontani. Vedi come l’ha dritte verso ‘l cielo, trattando l’aere con l’etterne penne, che non si mutan come mortal pelo».

Poi, come più e più verso noi venne l’uccel divino, più chiaro appariva: per che l’occhio da presso nol sostenne, ma chinail giuso; e quei sen venne a riva con uno vasello snelletto e leggero tanto che l’acqua nulla ne ‘nghiottiva. Da poppa stava il celestial nocchiero, tal che faria beato pur descripto; e più di cento spiriti entro sediero.

In exitu Isräel de Aegypto‘ cantavan tutti insieme ad una voce con quanto di quel salmo è poscia scripto. Poi fece il segno lor di santa croce; ond’ei si gittar tutti in su la piaggia: ed el sen gì, come venne, veloce. La turba che rimase lì, selvaggia parea del loco, rimirando intorno come colui che nove cose assaggia.

Da tutte parti saettava il giorno lo sol, ch’avea con le saette conte di mezzo ‘l ciel cacciato Capricorno, quando la nova gente alzò la fronte ver’ noi, dicendo a noi: «Se voi sapete, mostratene la via di gire al monte».

E Virgilio rispuose: «Voi credete forse che siamo esperti d’esto loco; ma noi siam peregrin come voi siete. Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco, per altra via, che fu sì aspra e forte, che lo salire omai ne parrà gioco».

L’anime, che si fuor di me accorte, per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo, maravigliando diventaro smorte. E come a messagger che porta ulivo tragge la gente per udir novelle, e di calcar nessun si mostra schivo, così al viso mio si affisar quelle anime fortunate tutte quante, quasi oblïando d’ire a farsi belle.

Io vidi una di lor trarresi avante per abbracciarmi, con sì grande affetto, che mosse me a far lo somigliante. Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto! tre volte dietro a lei le mani avvinsi, e tante mi tornai con esse al petto. Di maraviglia, credo, mi dipinsi; per che l’ombra sorrise e si ritrasse, e io, seguendo lei, oltre mi pinsi. Soavemente disse ch’io posasse; allor conobbi chi era, e pregai che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.

Rispuosemi: «Così com’io t’amai nel mortal corpo, così t’amo sciolta: però m’arresto; ma tu perché vai?».

«Casella mio, per tornar altra volta là dov’io son, fo io questo vïaggio», diss’io; «ma a te com’è tanta ora tolta?».

Ed elli a me: «Nessun m’è fatto oltraggio, se quei che leva quando e cui li piace, più volte m’ha negato esto passaggio; ché di giusto voler lo suo si face: veramente da tre mesi elli ha tolto chi ha voluto intrar, con tutta pace. Ond’io, ch’era ora a la marina vòlto dove l’acqua di Tevero s’insala, benignamente fu’ da lui ricolto. A quella foce ha elli or dritta l’ala, però che sempre quivi si ricoglie qual verso Acheronte non si cala».

E io: «Se nuova legge non ti toglie memoria o uso a l’amoroso canto che mi solea quetar tutte mie doglie, di ciò ti piaccia consolare alquanto l’anima mia, che, con tutta la sua persona venendo qui, è affannata tanto!».

Amor che ne la mente mi ragiona‘ cominciò elli allor sì dolcemente, che la dolcezza ancor dentro mi suona. Lo mio maestro e io e quella gente ch’eran con lui parevan sì contenti, come a nessun toccasse altro la mente. Noi eravam tutti fissi e attenti a le sue note; ed ecco il veglio onesto gridando: «Che è ciò, spiriti lenti? qual negligenza, quale stare è questo? Correte al monte a spogliarvi lo scoglio ch’esser non lascia a voi Dio manifesto».

Come quando, cogliendo biado o loglio, li colombi adunati a la pastura, queti, sanza mostrar l’usato orgoglio, se cosa appare ond’elli abbian paura, subitamente lasciano star l’esca, perch’assaliti son da maggior cura; così vid’io quella masnada fresca lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa, com’om che va, né sa dove riesca; né la nostra partita fu men tosta.

@ GIÀ ERA ‘L SOLE A L’ORIZZONTE GIUNTO

Fonte: La Commedia secondo l’antica vulgata, Giorgio Petrocchi, Edizione Nazionale 1966-67

Benignamente fu’ da lui ricolto

2^ canto del Purgatorio.

Casella.

Nell’Antipurgatorio. Spiaggia. Il poeta sente dire da Casella: «Non mi è stato fatto nessun torto, sebbene colui che accoglie quando e chi vuole, mi ha rifiutato più volte questo passaggio; perché la sua volontà si conforma a quella della giustizia divina: tuttavia da tre mesi egli ha imbarcato chi ha voluto entrare, senza suscitare dissensi. E io, che allora ero rivolto verso il tratto di mare dove le acque del Tevere da dolci diventano salate a contatto del mare, fui ricevuto da lui con affettuosa compiacenza. Adesso egli si dirige verso quella foce, poiché lì si riunisce sempre chi non scende verso l’Acheronte».

Casella, collocato da Dante sulla spiaggia dell’Antipurgatorio tra le anime appena approdate, fu un musico e cantore vissuto tra il XIII e il XIV secolo e morto prima della primavera del 1300. Al riguardo, non vi sono dubbi sulla storicità di tale personaggio, che il poeta eleva a protagonista di questo canto, sebbene nulla si sappia della sua vita.

Definito dall’Ottimo commento “finissimo cantore”, fu fiorentino per Benvenuto da Imola, oltre che per il Buti, il Landino e il Vellutello, nonché per le Chiose Cassinesi, e di Pistoia secondo l’Anonimo fiorentino. Vi sono stati nel tempo altri riferimenti a personaggi con questo nome. Ne citiamo un paio, segnalati dal D’Ancona: il primo riguarda un Casella fiorentino che avrebbe fatto soggiorno a Bologna nel periodo 1284-1290, il secondo attiene a un Casella o Scarsella, citato nei registri della Biccherna di Siena, in quanto fatto oggetto di sanzione per essere stato sorpreso durante le ore notturne a gironzolare per la città dopo il terzo suono della campana comunale. Ma sembrerebbero inattendibili, perché in entrambi i casi manca la nota sulla professione da essi esercitata.

Per cui, il solo riferimento che abbia qualche attendibilità è quello costituito da una nota a margine di un madrigale di Lemmo da Pistoia, contenuta nel codice Vaticano 3214: “Et Casella diede il sono”. La qual cosa non significa di necessità, si potrebbe pensare, che il Casella dantesco mettesse in musica le canzoni di Dante, sebbene ne intoni propria una (Amor che ne la mente mi ragiona) al verso 112 del canto cui ci stiamo occupando.

@ BENIGNAMENTE FU’ DA LUI RICOLTO

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970