Nulla sapem di vostro stato umano

10^ canto dell’Inferno

La prescienza dei dannati.

Nel sesto cerchio dell’Inferno, la città di Dite. Il poeta sente dire da Farinata degli Uberti: «Noi vediamo, come uno che ha cattiva vista, le cose che sono a venire; solo di tanto il sommo Signore ci concede tuttora la sua luce. Quando si avvicinano o sono presenti, il nostro intelletto è del tutto inutile; e se qualcun altro non ci informa, nulla conosciamo della condizione terrena degli uomini. Perciò puoi capire che la nostra conoscenza sarà totalmente spenta da quel momento in cui sarà serrata la porta che conduce al futuro».

La prescienza dei dannati fu trattata da Dante attribuendo loro la conoscenza del futuro, ma immaginando la stessa limitata. Infatti, essa veniva meno quando il fatto in questione era in procinto di passare dalla tipologia del futuro a quella del presente. A questa possibilità il poeta ne affiancava, a favore del dannato, un’altra, cioè una sorta di conoscenza indiretta, che prendeva spunto dalla comunicazione altrui o dalla sua memoria personale del passato.

Questa teoria fu applicata nei riguardi di quei personaggi che Dante chiamò a un qualunque rapporto con il futuro o il presente del mondo terreno o dell’Inferno, per esempio Ciacco e Brunetto Latini. Ma sarà con Farinata degli Uberti, con le parole sopra riportate, che la teoria della prescienza toccò il proprio apice.

Il poeta, per questa sua invenzione poetica, oltre a ispirarsi a Virgilio, a Stazio e a Lucano, tenne in particolare considerazione la filosofia a lui più vicina, nella quale spiccava in tutto il proprio fulgore la Summa Theologica di Tommaso d’Aquino, specialmente nei punti riguardanti la conoscenza, dove il grande filosofo sosteneva la possibilità di conoscere il futuro nel distacco dei sensi.

@ NULLA SAPEM DI VOSTRO STATO UMANO

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

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Le sue parole e ‘l modo de la pena

10^ canto dellInferno.

Cavalcante de’ Cavalcanti.

Nel sesto cerchio dell’Inferno, la città di Dite. Cavalcante de’ Cavalcanti dice a Dante: «Se tu vai attraverso questa prigione tenebrosa per eccellenza di intelletto, dov’è mio figlio? e perché non è con te?».

Cavalcante de’ Cavalcanti, collocato dal poeta in questo cerchio tra gli eretici e gli epicurei, fu un nobile fiorentino vissuto alla fine del Duecento (morì intorno al 1280), imparentato con i Guidi e i Salimbeni. Da Guelfo quale fu, e podestà di Gubbio nel 1257, subì gli effetti di quanto avvenne nella battaglia di Montaperti del 1260, quando gli odiati Ghibellini danneggiarono le sue case di San Pier Scheraggio nel Mercato Nuovo a Firenze. Fu costretto all’esilio a Lucca, e rientrò nella sua città dopo il 1266.

Di lui Boccaccio scrisse: “Fu leggiadro e ricco cavaliere, e seguì l’oppinion d’Epicuro in non credere che l’anima dopo la morte del corpo vivesse e che il nostro sommo bene fosse ne’ diletti carnali”.

L’apparizione improvvisa di questo personaggio, “padre di quel Guido, filosofo e poeta, che di Dante era stato il primo e il più caro amico al tempo dei suoi amori e delle sue esperienze letterarie giovanili”, per il Sapegno, che interrompe momentaneamente il ‘botta e risposta’ tra Dante e Farinata degli Uberti, si insinua con mirabile equilibrio in quel dialogo, senza però minarne l’intrinseca drammaticità, sia per gli argomenti trattati, sia per il luogo in cui si svolge.

@ LE SUE PAROLE E ‘L MODO DE LA PENA

Fonti: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

Inferno, Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968, 2^ edizione ricomposta

 

Vedi là Farinata che s’è dritto

10^ canto dell’Inferno.

Farinata degli Uberti.

Nel sesto cerchio dell’Inferno, la città di Dite. Virgilio dice al poeta: «Voltati! Che cosa fai? Vedi là Farinata che si è alzato: lo vedrai tutto dalla cintola in su».

Farinata degli Uberti, posto da Dante in questo cerchio tra gli eretici e gli epicurei, nacque a Firenze agli albori del 1200, e quasi quarant’anni dopo diventerà il capo della sua famiglia e di tutto il partito ghibellino della città. In tale veste, nel 1248, darà un rilevante contributo alla messa al bando dalla città di molti rappresentanti del partito guelfo, tra i quali alcuni Alighieri, grazie anche al sostegno di Federico II.

Riconquistato così alla causa ghibellina il governo di Firenze, deciderà la seconda messa al bando dei Guelfi. Ma, nella successiva riunione di Empoli dei capi ghibellini, dove verrà proposta, in specie dai Pisani, la distruzione della “città del giglio”, egli sarà il solo che vi si opporrà con fermezza.

Dopo la sua morte nel 1264, e la sconfitta definitiva degli Svevi a Benevento, due anni dopo, il partito guelfo bandirà i Ghibellini dalla città, radendone al suolo le case, le prime e non a caso, quelle degli Uberti. Processati a posteriori, il buon Farinata e i suoi, tutti subiranno una condanna per eresia, o meglio per epicureismo, la dottrina filosofica per la quale i seguaci ritenevano l’anima destinata a morire col corpo.

@ VEDI LÀ FARINATA CHE SʼÈ DRITTO

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970