La fiera moglie più ch’altro mi nuoce

16^ canto dell’Inferno.

Iacopo Rusticucci.

Nel settimo cerchio dell’Inferno. Terzo girone. Il poeta sente dire da Iacopo Rusticucci: «E io, che sono stato mandato al tormento con loro, fui Iacopo Rusticucci, e certo la moglie ritrosa mi reca danno più che altro».

Iacopo Rusticucci, collocato da Dante nel terzo girone di questo cerchio tra i sodomiti, nacque a Firenze intorno al 1200 e appartenne a una famiglia fiorentina della consorteria dei Cavalcanti. Fu uno dei cittadini più noti e da un punto di vista politico più in vista del suo tempo, Guelfo come Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari.

Nel 1237 entrambi mediarono la pace in una contesa fra San Gimignano e Volterra, e l’anno dopo Rusticucci chiese al comune di San Gimignano una ricompensa per essere intervenuto a favore di quel comune presso il podestà di Firenze contro gli ambasciatori della città nemica. Nominato nel 1254, insieme a Ugo della Spina, procuratore del Comune di Firenze, per intrattenere rapporti politici e commerciali con altre città della Toscana, quattro anni dopo si trovò a ricoprire la carica di capitano del popolo ad Arezzo.

Il poeta, riguardo a lui, facendogli pronunciare la battuta citata in apertura che conclude il suo intervento, si riferì essenzialmente ai suoi guai coniugali, che lo portarono a lasciare la moglie dandosi alla sodomia, quasi l’avesse fatto in sfregio verso tutte le donne. A tal proposito, infatti, Benvenuto da Imola, tra i primi commentatori della Commedia, parlò di ‘uxor prava’, riguardo a una lite alquanto accesa tra i due.

 @ LA FIERA MOGLIE PIÙ CH’ALTRO MI NUOCE

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

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L’altro, ch’appresso me la rena trita

16^ canto dell’Inferno.

Tegghiaio Aldobrandi.

Nel settimo cerchio dell’Inferno. Terzo girone. Iacopo Rusticucci dice a Dante: «Il secondo, che calpesta dietro di me il terreno sabbioso, è Tegghiaio Aldobrandi, le cui parole fra i vivi avrebbero dovuto essere apprezzate».

Tegghiaio Aldobrandi, posto dal poeta nel terzo girone di questo cerchio tra i sodomiti, fu uno dei membri più influenti della consorteria degli Adimari. Cittadino di parte guelfa, fu podestà di Arezzo nel 1256, e uno dei capitani dell’esercito fiorentino nel 1260, per il sesto di Porta San Pietro. Morì prima del 1266.

Boccaccio lo ricordò così : “Cavaliere di grande animo e d’operazion commendabili e di gran sentimento in opera d’arme; e fu colui il quale del tutto sconsigliò il comun di Firenze che non uscisse fuori a campo ad andare sopra i Sanesi; conoscendo, sì come ammaestratissimo in opera di guerra, che danno e vergogna ne seguirebbe, se contra al suo consiglio si facesse; dal quale non creduto né voluto, ne seguì la sconfitta a Monte Aperti”.

Il pur chiaro riconoscimento dei suoi meriti: “le sue parole fra i vivi avrebbero dovuto essere apprezzate”, non impedì, però, a Dante di collocarlo nel girone sopra menzionato, sebbene sul suo peccato di sodomia non furono mai trovate testimonianze attendibili, eccetto che l’esplicita condanna del poeta.

@ L’ALTRO, CH’APPRESSO ME LA RENA TRITA

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

 

Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita

16^ canto dell’Inferno.

Guido Guerra.

Nel settimo cerchio dell’Inferno. Terzo girone. Iacopo Rusticucci dice al poeta: «Questi, le impronte del quale mi vedi calpestare, quantunque sia nudo e spelato, fu di rango più alto di quanto tu creda: fu nipote della valente Gualdrada; si chiamò Guido Guerra, e nella sua vita agì molto col senno e con la sapienza militare accompagnata al coraggio».

Guido Guerra, collocato da Dante nel terzo girone di questo cerchio tra i sodomiti, fu l’appellativo di Guido VI Guidi, dei conti di Dovadola, figlio di Marcovaldo e di Beatrice degli Alberti, nacque verso il 1220. Secondo il Villani, “fu molto guelfo, spesso capitano, sprezzatore de’ pericoli, e quasi troppo sollecito ne’ casi sùbiti, d’ingegno e d’animo maraviglioso, donde spesso i fatti quasi perduti riparava, e spesso quasi tolse la vittoria di mano a’ nemici: d’animo alto e liberale, e giocondo molto, da’ cavalieri amato, cupido di gloria…”

Ai suoi tempi, egli fu il maggiore artefice delle fortune guelfe in Toscana. Dichiarato nel 1243 da Innocenzo IV benemerito di Santa Romana Chiesa, nel 1255 comandò i Fiorentini contro i Ghibellini aretini. Esule coi Guelfi fiorentini dopo la battaglia di Montaperti nel 1260, combatté al servizio di Carlo I d’Angiò, e si batté a Benevento contro Manfredi di Svevia. Tornato a Firenze dopo l’esilio, dove gli fu offerto il capitanato della città, morì nel 1272 nel suo castello di Montevarchi.

@ GUIDO GUERRA EBBE NOME, E IN SUA VITA

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970