7^ canto dell’Inferno.
La Fortuna.
Nel quarto cerchio dell’Inferno. Il poeta sente dire da Virgilio: «Ora puoi comprendere, figliolo, l’inganno di breve durata dei beni che sono affidati alla Fortuna, per i quali l’umanità intera si accapiglia; perché tutto l’oro che si trova e che si trovò già sulla terra, non potrebbe render quieta una sola di queste anime affaticate».
L’accenno alla Fortuna, fatto su un tema che aveva larghissima eco nel Medioevo, fu utile a Dante per far conoscere al lettore la propria concezione riguardo a questa entità ultramondana. Dunque, per lui, costei è una divinità che gira la sua ruota, incaricata da Dio a distribuire tra gli esseri umani (intesi come individui e popolazioni) i beni terreni, sotto forma di ricchezze, bellezza, onori, forza, potere, gloria, e di trasferirli, di tanto in tanto, secondo i suoi disegni preordinati. Perciò si rivelano inutili la difese approntate dagli uomini, i quali, per non avvedersi dell’origine ultraterrena di questa divinità, talvolta inveiscono ingiustamente al suo indirizzo. Ma essa è felice e non bada a ciò.
Nella compilazione di questo passo, il poeta deve aver tenuto sicuramente presente l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino, come si può evincere dall’aver accostato questa entità alla Provvidenza, ancorché il tema è stato svolto in forma poetica; e a tale riguardo ci aiuta Boccaccio, che riporta: “In questa parte, l’autore, quanto più può, secondo il costume poetico, parla”.
Questa sulla Fortuna è la prima digressione dantesca di una certa ampiezza posta in bocca a Virgilio, che nell’Eneide ricorda di continuo tale entità divina, identificandola con il volere di Giove. E non casualmente Virgilio dice a Dante: «Ora voglio che tu riceva il mio ragionamento», prima di dare il via alla sua lunga dissertazione.
@ OR PUOI, FIGLIUOL, VEDER LA CORTA BUFFA
Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970
Splendida lettura
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