5^ canto dell’Inferno.
Minosse.
Nel secondo cerchio dell’Inferno. Virgilio dice a Minosse: «Perché gridi ancora? Non opporti al suo cammino voluto dalla volontà di Dio: si vuole così là dove si può ciò che si vuole, e non chiedere altro».
Figura del mito classico, Minosse, collocato da Dante in questo cerchio, fu sovrano di Creta, quando la Grecia era ancora una terra desolata. I suoi genitori furono Giove ed Europa. Ebbe diversi figli, tra cui Androgeo, che venne ammazzato dagli Ateniesi per pura invidia, perché era un ginnasta fenomenale. Così egli diede inizio a una guerra vendicatrice, e, per ingraziarsi i favori degli dèi, dovendo sacrificare a Giove un toro meraviglioso, il suo preferito, all’ultimo momento lo scambiò con un altro di minor pregio. Ma Giove, accortosi di ciò, fece una malia contro la moglie, Pasife, facendola innamorare perdutamente di quel toro, così che, dalla loro unione innaturale, nacque il Minotauro, un essere mostruoso con il corpo da uomo e la testa taurina, il quale si nutriva solo di carne umana.
Vinta la guerra, il sovrano di Creta impose agli Ateniesi di inviare ogni anno sette giovinetti a Creta, come premio dei giochi istituiti nell’anniversario del figlio Androgeo, dove il Minotauro li aspettava nel labirinto costruito dall’artefice Dedalo, per cibarsene. Ma Teseo, il “duca di Atene”, aiutato da Arianna, la figlia di Minosse, riuscì a liberare i suoi concittadini da quel servaggio, uccidendo il Minotauro nel labirinto dove lo stesso Minosse lo aveva fatto rinchiudere.
Fu talmente noto per le sue doti di legislatore e di giudice giusto, ma implacabile, che i poeti antichi lo elessero quale supremo giudice dell’Ade. E tale fu confermato dal poeta, dove parla di lui in alcuni canti dell’Inferno, tra cui il quinto, e dove lo rappresenta come un essere demoniaco, dotato di una coda grottesca, che digrigna i denti in modo orribile sulle anime sottoposte al suo insindacabile giudizio.
@ NON IMPEDIR LO SUO FATALE ANDARE
Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970