Quell’anima là sù c’ha maggior pena

34^ canto dell’Inferno.

Giuda Iscariota.

Nel nono cerchio dell’Inferno, Cocito. Quarta zona, la Giudecca. Virgilio dice a Dante: «Quell’anima lassù che ha il tormento più intenso, è Giuda Iscariota, che ha la testa dentro la bocca e fuori muove le gambe».

Giuda Iscariota, posto dal poeta nella quarta zona di questo cerchio tra i traditori dei benefattori, fu il traditore di Cristo, il quale per Dante, nonché per l’uomo del Medioevo in generale, simboleggiava l’una delle due maggiori autorità (essendo l’altra rappresentata da Giulio Cesare, per quanto concerneva l’ordinato vivere civile), sulla quale poggiava la sua ragion d’essere il raggiungimento della beatitudine eterna. Citato sempre all’ultimo posto negli elenchi dei dodici Apostoli, Giuda venne detto Iscariota, forse, dal nome del luogo di provenienza.

Soltanto dal Vangelo di Giovanni, sono reperibili alcuni particolari della sua vita: per esempio, custodiva la cassa comune degli Apostoli, che ogni tanto veniva fatta oggetto di piccole sottrazioni. Da Matteo, invece, è notorio il fatto del suo tradimento ai danni di Gesù, che consegnò ai sacerdoti suoi avversari in cambio di trenta sicli o denari d’argento. Evento che venne assunto a simbolo del tradimento per antonomasia. Assalito dai rimorsi per il suo abietto comportamento, restituì immediatamente il compenso ricevuto, ma ciò non lo salvò dalla morte, perché si impiccò. E al posto rimasto vacante fu eletto poco dopo Matteo.

Dante, oltre che in questo canto, parla di lui nel 19^ canto dell’Inferno, dove lo ricorda come l’anima malvagia al cui compito fu preposto, appunto, Matteo; nel 20^ canto del Purgatorio: la sua arma non fu altro che il tradimento, e nel 21^ canto della stessa cantica: egli di fatto ha venduto Gesù. E tra tutti i dannati dell’Inferno, nessuno ha una sofferenza maggiore, perché ha la testa dentro la bocca di Lucifero, come detto in apertura, e ai lati Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino, dei quali parleremo in altra sede, che gli fanno da degna cornice, con le teste a pendere nel vuoto. E il fatto che Giuda Iscariota non sia nominato nel Paradiso, la cantica della luce, la dice lunga sulla considerazione che il poeta nutriva nei suoi confronti: infatti, solo a parlarne, perfino celata tra le pieghe della più oscura perifrasi, avrebbe rappresentato per lui la più stonata delle citazioni.

@ QUELL’ANIMA LÀ SÙ C’HA MAGGIOR PENA

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

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