29^ canto dell’Inferno.
Capocchio.
Nell’ottavo cerchio dell’Inferno, Malebolge. Decima bolgia. Il poeta sente dire da Capocchio: «Ma affinché tu apprenda chi ti asseconda così contro i Senesi, aguzza la vista verso di me, così che il mio volto ti corrisponda distintamente: così vedrai che sono l’ombra di Capocchio, io che falsificai i metalli con l’alchimia; e ti devi ricordare, se ti vedo chiaramente, come io fui un abile imitatore delle cose di natura».
Capocchio, collocato da Dante nella decima bolgia di questo cerchio tra gli alchimisti o falsatori di metallo, per la quasi totalità dei primi commentatori della Commedia fu fiorentino, nonché compagno di studi del poeta in phisica o in filosofia naturale, forse in uno dei corsi frequentati da Dante per iscriversi all’arte dei medici e degli speziali.
Secondo il Buti, tra i più eminenti di quei commentatori, fu “di grande ingegno, e in filosofia giunse a tanto, che poi si diede all’alchimia credendosi venire alla vera; ma mancando nelle operazioni s’avvenne alla sofistica, cioè si diede a falsificare sottilmente ‘i metalli”.
E l’Anonimo, a seguire, attribuì l’alchimia di questo personaggio alla predisposizione imitatoria “che possedeva in sommo grado, così che sapea contrafare ogni uomo che volea e ogni cosa ed egli parea propriamente la cosa o l’uomo ch’egli contrafacea in ciascun atto… diessi nell’ultimo a contrafare i metalli, come egli facea gli uomini”. E proprio in qualità di alchimista Capocchio fu arso a Siena il 15 Agosto 1293.
@ SÌ VEDRAI CH’IO SON L’OMBRA DI CAPOCCHIO
Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970