Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno

13^ canto dell’Inferno

Le Arpie.

Nel settimo cerchio dell’Inferno. Secondo girone. Il poeta narra: “Lì nidificano le sozze Arpie, che scacciarono i Troiani dalle Strofadi con la funesta predizione di futura rovina. Hanno ali larghe, e colli e volti umani, piedi con artigli, e il grande ventre ricoperto di penne; emettono lamenti terrificanti sugli alberi”.

Figure del mito classico, le Arpie, collocate da Dante nel secondo girone di questo cerchio, furono raffigurate come grandi creature alata dal volto di fanciulla, dotate di una rapidità straordinaria e particolarmente portatrici di distruzione. Fineo, re di Arcadia, avendo accecato i propri figli, e reso a sua volta cieco, fu per punizione angustiato da queste creature che gli lordavano tutti i cibi; ne fu liberato da Zeto e Calai i quali, grati per l’ospitalità che il re aveva concessa agli Argonauti, con il provvidenziale soccorso di Ercole le cacciarono dall’Arcadia inseguendole fino alle Strofadi, dove le incontrò Enea, secondo quanto Virgilio riportò nell’Eneide.

I Troiani, sbarcati in quelle isole, avevano ucciso alcune giovani vacche, non sapendo che le isole erano presidiate dalle Arpie e ne custodivano gli armenti. Appena sedutisi a banchetto, esse scesero a capofitto sui cibi, afferrandoli rabbiosamente e imbrattando tutte le suppellettili. Allora ai Troiani non rimase altro da fare che rifugiarsi in un luogo sicuro, dove si difesero strenuamente dai ripetuti attacchi. E Celeno, una di loro, le altre essendo Ocipete e Aello, vista l’inutilità di quegli attacchi, predisse loro future sventure.

Secondo i primi commentatori della Commedia, tra tutti i figli del poeta, Iacopo e Pietro, essendo il comportamento delle Arpie quello di imbrattare tutte le cose che incontravano, rendendole inutilizzabili e quindi distruggendole, ciò si confaceva ai suicidi, che gettarono alla ortiche la propria vita.

@ QUIVI LE BRUTTE ARPIE LOR NIDI FANNO

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

 

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