8^ canto dell’Inferno.
La città di Dite.
Nel quinto cerchio dell’Inferno. Il poeta sente dire da Virgilio: «Figlio, a questo punto si avvicina la città che si chiama Dite, coi suoi abitanti gravati di pene, con la grande schiera dei diavoli».
La città di Dite, il sesto cerchio dell’Inferno, è serrata da alte mura dalle sembianze ferrigne, e munite di fortificazioni simili ai minareti delle moschee di una qualsiasi città musulmana; mura che, agli occhi di Dante, appaiono vermiglie tanto sono divorate da un fuoco interno, e sono circondate per tutta la loro estensione dalle acque paludose dello Stige.
Fuori della porta, il poeta vede frotte di diavoli che fanno la guardia con gli arpioni alzati e già atteggiati, come accadrà di lì a poco, a sbarrare il passo a lui e Virgilio, appena lasciati da Flegias sulla sponda limacciosa della palude. Ma che cosa vedranno essi, una volta che finalmente potranno mettere piede dentro questo luogo grazie all’intervento provvidenziale di un inviato celeste? Lo sapremo quanto prima.
In base alla struttura morale dell’Inferno, che, nell’undicesimo canto, Virgilio esporrà a Dante quando saranno costretti a sostare all’interno della città di Dite, appoggiati entrambi alla copertura sollevata dell’avello di Anastasio II, per abituarsi al fetore che risale dal basso prima di scendere il pendio, se fuori della stessa, quindi dal secondo al quinto cerchio, sono puniti gli incontinenti (lussuriosi, golosi, avari e prodighi, iracondi e accidiosi), oltre le sue mura, quindi nel sesto cerchio, sono puniti gli eretici e gli epicurei e, dopo il “burrato”, nel settimo i violenti: quelli contro il prossimo (omicidi e predoni), quelli contro sé stessi (suicidi e scialacquatori) e quelli contro Dio, la Natura e l’Arte (bestemmiatori, sodomiti e usurai).
@ S’APPRESSA LA CITTÀ C’HA NOME DITE
Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970