“Dimmi, caro maestro, dimmi, signore, da qui uscì mai qualcuno, o per i suoi meriti o per l’altrui intervento, che poi fosse condotto in Paradiso?”
Questa è la fatidica domanda che Dante rivolge a Virgilio nel Limbo, dopo aver preso atto e visione della gente di molto valore che vi dimora. Siamo tornati nel quarto canto dell’Inferno, parte centrale.
Che pensare? Forse il Sommo Poeta si è già pentito di essersi affidato mani e piedi a Virgilio a proposito delle capacità di costui di guidarlo nel suo viaggio? O forse sono soltanto illazioni nostre? Non lo sapremo mai. Ciò che possiamo fare, però, è immaginare l’espressione sorpresa del volto del maestro.
Il quale, non potendosi sottrarre, così replica per mezzo di un articolato sermone: “Io mi trovavo da poco nel Limbo, quando vi vidi scendere Cristo nello splendore della Sua divinità. Trasseci l’ombra del primo parente, di suo figlio Abele e di Noè, di Mosè legislatore e osservante dei comandamenti di Dio; il capostipite Abramo e re David, Giacobbe insieme al padre, ai suoi figli e a Rachele, per la quale tanto si prodigò, e molti altri, e li innalzò in Paradiso”.
A questo punto si ferma, riprende fiato, dà un’occhiata di soppiatto a Dante, che non gli toglie gli occhi di dosso, e finalmente riprende per chiudere il discorso: “E devi sapere che, prima di essi, non erano stati salvati altri spiriti umani”.
Tutto ciò avviene senza che i due poeti si siano soffermati più di tanto a guardare i sospesi del Limbo. Infatti, botta e risposta si susseguono mentre attraversano la “selva, dico, di spiriti spessi”, chiosa Dante. E così li lasciamo nel loro andare.