I’ vegno per menarvi a l’altra riva

3^ canto dellʼInferno.

Caronte.

Nell’Antinferno. Il poeta e Virgilio sentono dire da Caronte: «Guai a voi, anime malvagie! Non sperate mai di vedere il cielo: vengo per condurvi all’altra sponda nelle tenebre eterne, nel fuoco e nel ghiaccio. E tu che sei in codesto luogo, anima viva, allontanati da questi che sono morti».

Figura del mito classico, Caronte, collocato da Dante nell’Antinferno, fu figlio di Erebo e della Notte. Dal momento che i popoli dell’antichità, a partire dagli Etruschi, ponevano nei sepolcri, dopo le esequie effettuate secondo il rituale prestabilito, l’obolo affinché nell’Ade avvenisse il traghettamento delle anime dei defunti da una riva all’altra dell’Acheronte, lo individuarono quale nocchiero adatto allo scopo.

Ed è il poeta a trasformarlo, secoli dopo, nel protagonista principale di questo canto, dopo un’ampia dissertazione riguardante gli ignavi. L’ingresso in scena di Caronte corrisponde ad un’irruzione improvvisa, che gli crea non poco sconcerto; egli, lasciati gli ignavi al loro ingrato destino di non dannati, è posizionato insieme a Virgilio un po’ discosto dalla moltitudine di anime radunate presso la riva dell’Acheronte in attesa di attraversare il fiume, per recarsi nel luogo della dannazione.

Certamente l’episodio gli fu ispirato dal passo del sesto libro dell’Eneide, là dove Virgilio ne parla in questi termini: “Caronte custodisce queste acque e il fiume e, orrendo nocchiero, a cui una larga canizie invade il mento, si sbarrano gli occhi di fiamma, sordido pende dagli omeri il mantello annodato. Egli, vegliardo, ma dio di cruda e verde vecchiaia, spinge la zattera con una pertica e governa le vele a trasportare i corpi sulla barca di colore ferrigno”.

@ I’ VEGNO PER MENARVI A L’ALTRA RIVA

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

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