30^ canto dell’Inferno.
Maestro Adamo.
Nell’ottavo cerchio dell’Inferno, Malebolge. Decima bolgia. Maestro Adamo dice a Dante e Virgilio: «La spietata giustizia che mi punge con tormento trae motivo dal luogo dove io peccai per farmi emettere più sospiri. Lì si trova Romena, là dove io falsificai i fiorini che recavano impressa l’immagine del Battista; per cui io lasciai sulla terra il mio corpo arso. Ma se io vedessi qui l’anima malvagia di Guido o di Alessandro o del loro fratello, non scambierei la vista con Fonte Branda».
Maestro Adamo, collocato dal poeta nella decima bolgia di questo cerchio tra i falsatori di monete, fu ritenuto di patria incerta dai primi commentatori della Commedia: se per Bambagliuoli era casentinese, per Benvenuto da Imola veniva da Brescia. Tuttavia, un rilevante contributo per individuare la sua origine fu la scoperta, ad opera del Tarlazzi nel 1869, di un atto rogato a Bologna il 28 Ottobre 1277, in cui veniva citato quale “magistro Adam de Anglia familiare comitum de Romena”. E un “Adam Anglicus” compariva in un altro documento del 1273.
Da ciò si è dedotto non esserci ragioni plausibili per mettere in dubbio se non la sua patria, almeno la provenienza dall’Inghilterra, come magister, qualifica che, per il Contini, indicava “un termine tecnico del mondo universitario, grado sinonimo di dottore”, relativa a una facoltà che “più che medica, ben probabilmente è ancora quella delle Artes, fra le quali vennero classificate le cosiddette scienze naturali”.
Raccontò l’Anonimo Fiorentino, a sostegno di quanto Maestro Adamo diceva ai due poeti: “Fu tirato in Casentino nel castello di Romena, al tempo che i conti di quello lato stavano male col comune di Firenze. Erono allora signori di Romena e d’attorno in quello paese tre fratelli: il conte Aghinolfo, il conte Guido e il conte Alessandro. Il maestro Adamo riduttosi con loro, costoro il missono in sul salto e feciongli battere fiorini sotto il conio del comune di Firenze, ch’erono buoni di peso, ma non di lega, però ch’egli erono di 21 carati dov’elli debbono essere di 24, sì che tre carati v’avea dentro di rame o d’altro metallo… Di questi fiorini e ne spesono assai: ora nel fine, venendo un dì il maestro Adamo a Firenze, spendendo di questi fiorini, furono conosciuti essere falsati; fu preso, e ivi fu arso”. Secondo la cronaca di Paolino Pieri, correva l’anno 1281.
@ IVI È ROMENA, LÀ DOV’IO FALSAI
Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970