25^ canto dellʼInferno.
Le metamorfosi secondo Ovidio.
Nell’ottavo cerchio dell’Inferno, Malebolge. Settima bolgia. Il poeta narra: “Ovidio taccia di Cadmo e di Aretusa, perché anche se componendo versi trasforma quello in serpente e quella in sorgente, io non lo invidio; perché non trasformò mai due essenze una in faccia all’altra così che ambedue le forme fossero docili a scambiare reciprocamente la loro materia”.
Figura del mito classico, Cadmo fu il fondatore di Tebe. Figlio del re fenicio Agenore, venuto in Grecia da Sidone, avrebbe seminato qui i denti di un drago da lui ucciso; da questi sarebbero nati dei guerrieri, trucidatisi poi a vicenda a eccezione di cinque, con l’aiuto dei quali Cadmo avrebbe fondato Tebe. Ovidio inventò la metamorfosi di costui in serpente, intesa come espiazione per aver ucciso il drago.
Figura del mito classico anch’essa, Aretusa fu una ninfa dell’Achea. Un giorno, di ritorno dalla caccia, fece un bagno nel fiume Alfeo. Il fiume si innamorò subito di lei, e assunse la figura umana. La ninfa fuggì, inseguita dal suo spasimante, e durante la fuga implorò il soccorso di Artemide, la quale intervenne mutandola in fonte. Poi la dea aprì la terra dove la ninfa si rifugiò prontamente; ma Alfeo si mutò di nuovo in fiume, per inseguirla sotto il mare fino all’isola Ortigia, vicino a Siracusa, dove entrambi riemersero dalle acque del mare, Aretusa sotto forma di sorgente cui Alfeo unì le proprie acque rimaste immuni dalla salsedine marina.
@ TACCIA DI CADMO E D’ARETUSA OVIDIO
Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970