25^ canto dell’Inferno.
Caco.
Nell’ottavo cerchio dell’Inferno, Malebolge. Settima bolgia. Virgilio dice al poeta: «Questi è Caco, il quale, nella caverna del monte Aventino, produsse spesso un’ampia pozza di sangue. Non procede di comune accordo con gli altri centauri, per il furto che compì con frode della grande mandria che egli ebbe nelle vicinanze; pertanto le sue condotte disoneste furono eliminate dalla clava di Ercole, che forse lo picchiò con cento percosse, e morì prima della decima».
Figura del mito classico, Caco, collocato da Dante nella settima bolgia di questo cerchio tra i ladri, fu figlio di Vulcano, metà uomo e metà bestia, che vomitava dalla bocca “inutili incendi” (Eneide, VIII, 259), era senza mezzi termini un ladro di bestiame, e la sua dimora si trovava in un antro del monte Aventino, a Roma, luogo lordo di sangue e di ossa umane, teatro dei suoi omicidi.
Un giorno rubò ad Ercole quattro tori e quattro giovenche della mandria del re Gerione, che l’eroe aveva condotto con sé dalla Spagna dopo aver sconfitto costui. Così Ercole, scopertolo, lo uccise con una stretta delle sue braccia, e nel punto in cui accadde il fatto costruì l’Ara massima. Tale episodio fu riportato da Virgilio nell’Eneide (VIII, 193-268), dalla quale lo riprese il poeta, sebbene con la variante sulla morte del mostro: nell’opera virgiliana, Caco, come detto sopra, morì strangolato per la stretta della braccia di Ercole; nel canto di cui trattasi, sotto i colpi della clava dell’eroe.
Tutto ciò induce a ritenere che Dante riprendesse dall’episodio virgiliano per il tramite di un’opera compilativa o di qualche chiosa. Caco fu da egli elevato a simbolo della fraudolenza condannata nella stessa bolgia, come i centauri del primo girone del settimo cerchio erano stati eletti quali rappresentanti della violenza contro il prossimo.
@ NON VA CO’ SUOI FRATEI PER UN CAMMINO
Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani, 1970