Or tu chi se’ che vai per l’Antenora

32^ canto dell’Inferno.

Bocca degli Abati.

Nel nono cerchio dell’Inferno, Cocito. Seconda zona, l’Antenora. Il poeta sente dire da Bocca degli Abati: «Tu che cos’hai, Bocca? non ti è sufficiente far strepito con le mascelle, senza che tu urli? che diavolo ti prende?».

Bocca degli Abati, posto da Dante nella seconda zona di questo cerchio tra i traditori della patria, fu un nobile fiorentino di parte guelfa che, in quanto membro eminente di questa fazione politica, partecipò alla battaglia di Montaperti il 4 settembre 1260 contro i ghibellini senesi, alleati dei fuoriusciti fiorentini guidati da Farinata degli Uberti e dei cavalieri inviati da Manfredi di Svevia.

Raccontò il Villani (VI 78), a proposito della partecipazione di tale personaggio a questa battaglia: “e come la schiera de’ Tedeschi rovinosamente percosse la schiera de’ cavalieri de’ Fiorentini ov’era la ‘nsegna della cavalleria del comune, la quale portava messer Iacopo del Nacca della casa de’ Pazzi di Firenze, uomo di grande valore, il traditore di messer Bocca degli Abati, ch’era in sua schiera e presso di lui, colla spada fedì il detto messer Iacopo e tagliogli la mano colla quale tenea la detta insegna, e ivi fu morto di presente. E ciò fatto, la cavalleria e ‘l popolo veggendo abbattuta l’insegna, e così traditi da’ loro, e da’ Tedeschi sì forte assaliti, in poco d’ora si misono in isconfitta”.

Durante gli anni seguenti di governo ghibellino, Bocca degli Abati collaborò con i vincitori. Ma dopo la rivincita guelfa nel 1266, fu bandito. Morì prima del 1300. Scriveva il Sapegno: “Più ancora delle conseguenze del gesto di Bocca, in quanto lo toccavano personalmente come cittadino, e come uomo, a Dante doveva parer particolarmente odiosa la turpitudine del gesto in sé: da ogni pagina di questi due canti, XXXII e XXXIII, deve scaturire risoluta la condanna, non già di questa o quella parte politica, ma dei metodi e delle forme di tutta la politica dell’età comunale, vista e giudicata nel suo complesso”.

Il personaggio di Bocca degli Abati, tutto sommato, è rivestito suo malgrado di un’angosciosa nota di umanità, “sebbene di una protervia che dà anche al dolore qualcosa di bestiale”, notava il Grabher, in quanto, nel prosieguo del concitato dialogo tra lui e il poeta, la circostanza che egli si opponga alla legittima curiosità del secondo di sapere chi sia (Dante ne ha piena conferma dall’intervento di un altro dannato, che rimbrotta il vicino chiamandolo per nome), rivela da ultimo la consapevolezza della sua vergogna.

@ OR TU CHI SE’ CHE VAI PER L’ANTENORA

Fonti: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

Inferno, Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968, 2^ edizione ricomposta

Sappi ch’i’ fu’ il Camiscion de’ Pazzi

32^ canto dell’Inferno.

Camicione de’ Pazzi.

Nel nono cerchio dell’Inferno, Cocito. Prima zona, la Caina. Camicione de’ Pazzi dice a Dante: «E affinché tu non mi costringa a parlare ancora, sappi che fui Camicione de’ Pazzi; e attendo Carlino che farà apparire meno grave la mia colpa».

Camicione de’ Pazzi, collocato dal poeta nella prima zona di questo cerchio tra i traditori dei parenti, fu ritenuto colpevole dell’omicidio di un suo congiunto, tale Ubertino. Non si ha notizia di fatti sicuri che lo riguardino, tranne che in un documento viene citato tale Betto “quondam Guccii Dom. Uberti Camiscioni”, e che un suo nipote partecipò al convegno di San Godenzo insieme a Dante.

Il quale, va da sé, non poté non renderlo uno dei dannati confitti nel ghiaccio di Cocito, precisamente nella Caina, la zona riservata ai traditori dei parenti. Camicione prima spiega al poeta chi siano le due ombre nel ghiaccio con lui, congiunte insieme e che cozzano con le teste l’una con l’altra (Aleandro e Napoleone degli Alberti), nonché gli indica altri compagni di sorte vicini (Mordret, figlio del re Artù, la cui storia leggendaria fa parte del ciclo della Tavola Rotonda, il pistoiese Vanni de’ Cancellieri, detto Focaccia, efferato uccisore di parenti, addirittura del padre, come sostenuto dal Bambaglioli e dal figlio di Dante, Pietro, tra i primi commentatori della Commedia, e il fiorentino Sassolo Mascheroni, che uccise a tradimento un bambino, figlio di suo zio, per poter vantare diritti ereditari), poi si presenta dicendo il proprio nome, come riportato in apertura, e da ultimo lancia una frecciata diretta a un suo congiunto, tale Carlino (anche lui un de’ Pazzi, che sarà destinato alla seconda zona di Cocito, l’Antenora, dimora dei traditori della patria).

Su questo personaggio si espresse a suo tempo il Momigliano: “Parla con un piglio sgarbato, spavaldo, testardo, uguale dal principio alla fine, con frasi asimmetriche come la sua faccia dalle orecchie mozze mulescamente puntata verso il ghiaccio, ora fluenti in versi rapidi, ora chiuse in versi troncati a mezzo o bizzarramente ossitoni, tutte suggerite dal cinismo bestiale di chi è oramai incallito nella miseria e nella malignità della propria condizione”.

@ SAPPI CH’I’ FU’ IL CAMISCION DE’ PAZZI

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

Se vuoi saper chi son cotesti due

32^ canto dell’Inferno.

Alessandro e Napoleone degli Alberti.

Nel nono cerchio dell’Inferno, Cocito. Prima zona, la Caina. Camicione de’ Pazzi dice al poeta: «Perché ci fissi con tanta insistenza come se ti specchiassi in noi? Se vuoi sapere chi sono questi due, la valle da cui discende il Bisenzio fu del loro padre Alberto e di loro. Nacquero dalla stessa madre; e potrai esplorare tutta la Caina, e non troverai un’ombra più meritevole di essere confitta nel ghiaccio».

Alessandro e Napoleone degli Alberti, posti da Dante nella prima zona di questo cerchio tra i traditori dei parenti, furono figli di Alberto degli Alberti, dei conti di Vernio e di Mangona, famiglia padrona di alcuni castelli nella Val di Bisenzio e nella Val di Sieve. L’Anonimo fiorentino, tra i primi commentatori della Commedia, su di loro scrisse: “furono di sì perverso animo che, per torre l’uno all’altro le fortezze che avevano…, vennono a tanta ira e a tanta malvagità d’animo, che l’uno uccise l’altro, e così insieme morirono”.

L’odio reciproco era sì dovuto a ragioni politiche, essendo guelfo Alessandro e ghibellino Napoleone, ma soprattutto dipendeva da mere ragioni di interesse, relative alla divisione dell’eredità del padre. Chiosava il Sapegno a tal proposito: “Napoleone, a cui il padre aveva lasciato solo la decima parte dei suoi beni, già prima del 1259 s’era preso con la violenza parte del retaggio spettante ai fratelli, ma era stato costretto, per l’intervento del comune fiorentino, a restituire il castello di Mangona”.

Circa venti anni dopo, nel 1279, il cardinal Latino convinse i due fratelli a riappacificarsi, ma il suo intervento non servì a molto. Infatti, la contesa tra loro divenne ancora più aspra, fino a raggiungere il suo naturale epilogo. Dopo essere stato estromesso con l’inganno dai possedimenti della Val di Bisenzio ad opera di Napoleone, Alessandro assalì costui a tradimento e durante la lotta i due si uccisero vicendevolmente. Il fatto ebbe grande risonanza a Firenze ed è databile tra il 1282 e il 1286, dunque quando Dante era giovane. Peraltro, il duplice fratricidio non bastò a placare gli animi nella famiglia. Infatti, poco dopo, Orso, figlio di Napoleone, fu ucciso da Alberto, figlio di Alessandro.

@ SE VUOI SAPER CHI SON COTESTI DUE

Fonti: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

Inferno, Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice 1968, 2^ edizione ricomposta