E io, quando ‘l suo braccio a me distese

15^ canto dell’Inferno.

Brunetto Latini.

Nel settimo cerchio dell’Inferno. Terzo girone. Il poeta narra: “Così guardato bene da una schiera quale è stata descritta, fui riconosciuto da uno, che mi afferrò per l’orlo inferiore della veste e gridò: «Quale cosa mirabile!». E io, quando stese il suo braccio verso di me, scrutai l’atteggiamento consunto dal calore, così che il volto bruciato non impedì al mio intelletto il suo riconoscimento; e abbassando la mano alla sua faccia, risposi: «Voi siete qui, ser Brunetto?»”.

Brunetto Latini, collocato da Dante nel terzo girone di questo cerchio tra i sodomiti, nacque a Firenze intorno al 1220, dove morì nel 1294 circa. Partecipò attivamente alla vita politica del comune, seguendo le vicende della Parte Guelfa, della quale era uno dei membri più influenti. Nel 1260, mentre faceva ritorno in città da un’ambasceria ad Alfonso X di Castiglia, seppe della sconfitta dei suoi sodali a Montaperti. Proscritto da Firenze, fu così costretto a soggiornare in Francia, fino a quando sei anni più tardi, a Benevento, cambiando le sorti della politica, poté rientrare in patria. Nel resto della sua vita terrena fu notaio e cancelliere del comune, ricoprendo nel tempo numerosi incarichi, fra tutti, nel 1280, quello di mallevadore per i Guelfi alla pace del cardinal Latino.

Durante il suo esilio aveva scritto in francese Tesoro, come dirà al poeta con la raccomandazione di averne cura, “detto col tono di chi deve andare, ma vuol dire ancora una cosa che gli preme assai, quella che gli preme di più” (Arnaldo Momigliano), altrimenti noto come Trésor, grande trattato in forma di enciclopedia; in versetti rimati a coppie il Tesoretto, e in prosa italiana tradusse e ammodernò Cicerone.

La grande importanza di Brunetto Latini nella cultura dell’epoca stette tutta in ciò che ne disse lo storico fiorentino Giovanni Villani (Nuova Cronica, VIII, 10). Leggiamo: “Fu grande filosofo e fu sommo maestro, in rettorica, tanto in bene saper dire, quanto in bene dittare. E fu quegli che spuose la Rettorica di Tullio, e fece il buono e utile libro detto Tesoro e il Tesoretto, e la chiave del Tesoro, e più altri libri in filosofia, e de’ vizi e di virtù; e fu dittatore del nostro comune. Fu mondano uomo; ma di lui avemo fatta menzione, perocch’egli fu cominciatore e maestro in digrossare i Fiorentini e fargli scorti in bene parlare e in sapere guidare e reggere la nostra repubblica secondo la politica”.

@ E IO, QUANDO ‘L SUO BRACCIO A ME DISTESE

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

 

 

 

 

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