13^ canto dell’Inferno.
Lotto degli Agli.
Nel secondo girone del settimo cerchio dell‘Inferno, la selva dei suicidi e degli scialacquatori, i due poeti sentono dire: “Io feci della mia casa un patibolo”.
Il tutto, dopo che poco prima la stessa voce ha chiesto loro di raccogliere alla base del doloroso sterpo, in cui è racchiusa la sua anima, i ramoscelli con le foglie divelti poco prima da un altro dannato, il padovano Giacomo di Sant‘Andrea, noto scialacquatore delle proprie sostanze; questi si era illuso di aver trovato riparo dietro quella pianta dall‘assalto di alcune cagne infernali che inseguivano lui e un compagno, uscendone invece lacerato pezzo a pezzo e portato via, e il cespuglio con i rami strappati.
Bene, cioè male. Il poeta ci ha teso un bel tranello, non cʼè che dire, e non sarà il solo! A onor del vero, tentativi di decifrare l’enigma sulle generalità di questo personaggio, non sono di certo mancati, a partire dai primi, autorevoli commentatori della Commedia (Lana e Anonimo su tutti), che intesero individuarlo nel giudice fiorentino Lotto degli Agli e proseguiti nei secoli. Pertanto, in mancanza di altre testimonianze attendibili a dimostrare il contrario, ci atteniamo a quella che ancora sembra la meno improbabile.
Questo personaggio lo troviamo citato quale professor iuris in un documento del 1273, con cui Carlo I d’Angiò gli affida, unitamente a Guglielmo Martini, un giurisperito anch’egli fiorentino, l’incarico di riportare la pace tra i Guelfi di Massa. La sua carriera politico-burocratica si svolse perlopiù fuori da Firenze, anche se fu membro del collegio dei priori nel bimestre 15 Aprile-15 Giugno 1285, la carica ricoperta poi da Dante nel bimestre 15 Giugno-15 Agosto 1300.
Spesso fu chiamato a ricoprire le funzioni di giudice, a Bologna nel 1266 e nelle Marche nel 1267, di capitano del popolo, a Cremona nel 1277 e a San Miniato nel 1293, di podestà, a San Miniato nel 1282 e, passando in varie località in anni diversi, a Borgo San Sepolcro nel 1291, per suicidarsi subito dopo, impiccandosi in casa propria, a causa del disonore provato per un falso perpetrato in qualità di giudice.
@ IO FEI GIBETTO A ME DE LE MIE CASE