Ahi serva Italia, di dolore ostello

6^ canto del Purgatorio.

Le invettive dantesche.

Nell’Antipurgatorio. Secondo balzo. Pendici del Purgatorio. Il poeta, dopo che insieme a Virgilio ha incontrato Sordello da Goito, il più importante trovatore italiano, discosto dai negligenti “morti per forza”, e aver descritto l’incontro tra Virgilio e costui, suo conterraneo, in questi termini: “… e mentre la cara guida iniziava a dire «Mantova…», l’ombra, tutta raccolta in sé e sola, si levò in piedi verso di lui dal luogo in cui stava in precedenza, dicendo: «O Mantovano, io sono Sordello della tua patria!»; e l’uno abbracciava l’altro”, parte con la lancia in resta, inveendo contro l’Italia, la Chiesa di Roma, l’imperatore dell’epoca e la sua città natale, in particolare contro i suoi avversari Guelfi di parte Nera.

La prima di tali invettive, famosissima, che reca questo inizio: “Ahi Italia schiava, ricettacolo di sofferenza, nave senza timoniere durante una grande tempesta, non più signora di popoli, ma postribolo!”, è quindi diretta contro l’Italia dilaniata dalle lotte intestine, nido di corruzione e di decadenza, mentre viene paragonata a una bestia selvaggia contraria a ogni disciplina e a ogni legge.

Segue quella contro la Chiesa di Roma, che attraverso i suoi alti prelati, invece di dedicarsi esclusivamente a Dio, si occupa degli affari civili, così confondendo malamente potere spirituale e temporale, di competenza dell’imperatore. A proposito del quale, gli si rivolge in tal modo (e siamo alla terza invettiva): “O Alberto tedesco che abbandoni costei che è diventata indomabile e irrequieta, mentre dovresti guidarla, una giusta vendetta scenda dai cieli sopra la tua discendenza, e sia straordinaria e manifesta, tale che il tuo successore ne abbia paura! Dal momento che tu e tuo padre avete tollerato, trattenuti di là delle Alpi dalla brama di governare la Germania, che il giardino dell’impero sia reso come un deserto”.

Da ultimo, a completare il doloroso sfogo, inveisce contro la sua amata patria, verso la quale si rivolge con amara ironia: “Mia Firenze, puoi essere felice davvero di questa divagazione che non ti riguarda, in grazia del tuo popolo che si dà da fare” (n.d.r., il ‘popolo’, come detto sopra, è rappresentato dai suoi avversari della fazione guelfa dei Neri, che lo hanno costretto a un infamante esilio).

E a tutto ciò, cioè alla rappresentazione di una società in cui i sono banditi i supremi ideali dell’ordinato vivere civile, si aggiunge l’invocazione disperata per un soccorso divino, nella fattispecie rappresentato da Cristo: “E se mi è permesso, o sommo Cristo che fosti crocifisso per noi in Terra, i tuoi giusti occhi sono rivolti verso un altro luogo? O prepari nella profondità imperscrutabile della tua mente provvidenziale qualche bene completamente separato dalla nostra capacità d’intendere o di giudicare?”, che possa mettere fine al postribolo italico.

@ AHI SERVA ITALIA, DI DOLORE OSTELLO

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

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