Quella ne ‘nsegnerà la via più tosta

6^ canto del Purgatorio.

Sordello da Goito.

Nell’Antipurgatorio. Secondo balzo. Pendici del Purgatorio. Virgilio dice a Dante: «Noi avanzeremo con questo giorno, quanto più potremo senz’altro indugio; ma le cose stanno in altro modo di quanto pensi. Prima che tu giunga in cima, vedrai risorgere colui che ormai è coperto dal pendio, così che non interromperai i suoi raggi. Ma vedi là un’anima che, seduta tutta sola, guarda verso di noi: quella c’indicherà il cammino più breve».

Sordello, posto dal poeta nell’Antipurgatorio discosto dai negligenti “morti per forza”, nacque a Goito nei pressi di Mantova tra la fine del XII^ secolo e l’inizio del XIII^, da una famiglia della piccola nobiltà locale, e trascorse la sua gioventù presso le corti di Ferrara, Verona e Treviso. A Verona diventò ‘familiare’ del conte Rizzardo di San Bonifacio, signore della città, e qui rapì e riportò a casa Cunizza, moglie del conte, nonché sorella di Ezzelino III da Romano, al fine di compiacere i fratelli di lei (il fatto ebbe grande risonanza e gli diede fama).

Trasferitosi a Treviso, presso il suddetto Ezzelino, sposò in segreto Otta di Strasso, evento che gli procurò l’avversione della famiglia di lei, per cui dové abbandonare l’Italia per approdare in Provenza, poi in Spagna presso la corte di Ferdinando III, re di León e di Castiglia, e ancora in Provenza, dove visse alla corte di Raimondo Berengario IV, collaborando con Romeo di Villanova. Alla morte di Berengario passò al servizio di Carlo d’Angiò, conte di Provenza. Con questi scese in Italia nel 1265 in veste di consigliere nella spedizione contro Manfredi, e da costui fu successivamente ricompensato con un feudo nel Cuneese e altri in Abruzzo. Morì in Italia, di vecchiaia o di malattia non si sa, nel 1269, forse nel reame angioino.

Sordello fu il più importante trovatore italiano e di lui ci sono state tramandate, tutte in lingua provenzale, molte opere: canzoni d’amore, sirventesi a sfondo politico e moraleggiante, un poemetto didattico sulle virtù cavalleresche, e la composizione più famosa di tutte, il Planher de Blacatz, sul genere del planh o compianto, in cui viene deplorata la viltà dei signori europei, passati in rassegna con aspre parole di rimprovero. Una nota da non sottovalutare sul suo conto è che egli ha nel contesto dell’Antipurgatorio un particolare rilievo: non fa parte dei negligenti “morti per forza”, sebbene qualche commentatore moderno (il Barbi e il Torraca, per esempio) abbia dissentito su ciò, né dei principi negligenti della valletta, i protagonisti del 7^ canto.

Infatti, se tra lui e gli appartenenti alla schiera degli uccisi ingiustamente c’è una netta linea di demarcazione, oltre che per la distanza che li separa, soprattutto a causa della sua sdegnosa solitudine e della completa assenza in lui della brama di preghiere che questi spiriti manifestano, ce n’è altrettanta con i ‘principi della valletta’, non fosse altro perché, non accomunandosi ad essi come lascia intendere a Virgilio e Dante, ne parla con distacco e di costoro appare censore e giudice più che loro sodale. In sostanza, siamo di fronte a una vera e propria guida dei due pellegrini relativamente a questo tratto dell’Antipurgatorio.

@ QUELLA NE ‘NSEGNERÀ LA VIA PIÙ TOSTA

Fonte: Enciclopedia dantesca, Treccani 1970

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