Savia non fui, avvegna che Sapìa

13^ canto del Purgatorio.

Sapia.

Nella seconda cornice del Purgatorio. Il poeta sente dire da Sapia: «Io fui Senese, e con questi altri emendo qui la mia vita peccaminosa, implorando con lacrime Colui che ci conceda la visione di sé. Non fui saggia, sebbene fossi chiamata Sapia, e mi rallegrai assai più delle sventure degli altri che della mia buona fortuna. E affinché tu non pensi che io ti tragga in inganno, ascolta se fui insensata, come io ti dico, avendo oltrepassato già l’apice del corso della mia vita.

«I miei concittadini erano venuti allo scontro sul terreno di battaglia con i loro nemici vicino a Colle Val d’Elsa, e io pregavo Dio di quello che volle. Furono sconfitti lì e costretti agli umilianti passi della fuga; e vedendo l’inseguimento, provai una gioia maggiore a nessun’altra, tanto che io alzai la temeraria faccia, gridando a Dio: “Dopo quanto è accaduto non ti temo più!”, come fece il merlo durante un breve periodo di sole».

Sapia, collocata da Dante in questa cornice tra gli invidiosi, fu una gentildonna senese della quale rimase per lunghissimo tempo ignota l’identificazione storica, finché alcuni dantisti, tra cui l’Aquarone e lord Vernon nel XIX^ secolo, fondando la loro opinione su un documento ritenuto abbastanza soddisfacente, identificarono questo personaggio con la moglie di Ghinibaldo Saracini, (il quale possedeva un castello nei pressi di Colle Val d’Elsa), ipotesi poi suffragata nel tempo da altri studiosi, come la Luisi e il Lisini.

Sicché non pare più dubbio che storicamente la Sapia dantesca sia una zia, da parte di padre, di Provenzano Salvani, della cui figura il poeta, per bocca di Oderisi da Gubbio, traccia un breve ritratto tra i superbi. Costei fu fondatrice insieme al marito dell’ospizio di Castiglion Ghinibaldi, oggi Castiglionalto di Monteriggioni, a favore del quale lasciò nel 1274 beni mobili e immobili, non senza prima aver donato al Comune di Siena, una volta rimasta vedova, il castello di famiglia. Morì prima del 1289.

Delle ragioni dell’odio di Sapia per i suoi concittadini e, in particolare, per suo nipote che li comandava nella battaglia persa di Colle Val d’Elsa (8 Giugno 1269), come si evince dal brano riportato in apertura, ancora oggi non si sa nulla di sicuro all’infuori di ciò che è riportato da Dante, che dovette basarsi giocoforza su qualche tradizione allora viva in quelle terre. Nessun chiarimento è venuto, infatti, nel tempo dalle pur accurate ricerche degli studiosi, tra tutti il citato Lisini, se non mere ipotesi tutte prettamente a sfondo politico. Forse, chissà, quella più probabile, avanzata dalla critica più recente, potrebbe essere che l’invidia fosse per Sapia una passione naturale, quasi una seconda pelle, a prescindere dalle sue simpatie per questa o per quella fazione in lotta tra di loro.

@ SAVIA NON FUI, AVVEGNA CHE SAPÌA

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