15^ canto dell’Inferno.
Ultima parte.
Ed egli a me: “Essere a conoscenza di qualcuno è bene; degli altri sarà meritevole di approvazione astenersi dal parlarne, perché il tempo sarebbe di breve durata rispetto a un discorso tanto lungo. In breve sappi che furono tutti ecclesiastici e uomini di lettere grandi e di grande reputazione, immondi in vita del peccato di sodomia. Prisciano se ne va con quella moltitudine infelice, e pure Francesco d’Accursio; e avresti potuto vedervi, se avessi avuto il desiderio di tale lordura, colui che dal servo dei servi di Dio fu trasferito da Firenze a Vicenza, in cui lasciò i nervi genitali tesi viziosamente. Parlerei di più; ma l’accompagnarmi e il parlare con te non possono continuare, poiché vedo sollevarsi là un altro polverio dal terreno sabbioso. Si avvicinano dannati con i quali non devo essere. Affido alle tue cure il mio Tesoro, nel quale io sopravvivo tuttora nella memoria degli uomini, e altro non desidero”.
Poi si volse, e parve di coloro che corrono a Verona la corsa a piedi nella campagna; e parve di costoro quegli che vince, non colui che resta soccombente.
@ POI SI RIVOLSE, E PARVE DI COLORO