Abbiamo lasciato i due poeti immobili subito dopo la porta dell’Inferno, propriamente nel suo vestibolo. L’hanno oltrepassata da poco e stanno guardando con lo sguardo fisso verso l’interno tenebroso, da dove proviene una cacofonia di suoni che fa rabbrividire.
Ci troviamo ancora nella parte iniziale del 3^ canto dell’Inferno. E Virgilio si è appena sentito chiedere in tono accorato da Dante: “Maestro, che cos’è ciò che sento? e quali dannati sono che sembrano così sopraffatti dal dolore?”.
E questi, con lo sguardo mesto, come se provasse una sorta di pudore nel rispondere: “In questa triste condizione stanno le anime sciagurate degli ignavi. Sono frammiste a quell’abietta schiera di angeli che non furono ribelli né furono fedeli a Dio, ma furono imbelli. I cieli li scacciano per non essere meno belli, né l’Inferno li accoglie nel profondo, dal momento che i ribelli avrebbero su di essi qualche compiacimento”.
E Dante, con una insistenza nemmeno tanto mascherata: “Maestro, che cosa c’è di tanto doloroso per loro che li fa lamentare tanto?”.
E qui Virgilio, aprendosi a Dante col sorriso più affettuoso possibile – in cuor suo è felice che l’allievo si mostri così partecipe – risponde: “Te lo dirò molto brevemente. Questi non hanno la della morte, e la loro condizione è tanto spregevole, che sono invidiosi di ogni altro stato. L’umanità non tollera che resti il loro ricordo; la compassione e la giustizia di Dio li disdegnano: non parliamo di loro, ma volgi lo sguardo e tira dritto”.
“E io, che rivolsi nuovamente lo sguardo, vidi…”
Che cosa?
Vivere senza infamia e senza lode, equivale a mettere la testa sotto la sabbia come fanno gli struzzi, e come facciamo molti di noi.
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L’ha ribloggato su adriana valenti sabouret.
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